Ah, le villanelle napoletane!

La “villanella” o “villanescanapoletana è una forma di composizione musicale popolare che nacque e si affermò nel XVI secolo e che ebbe grande importanza nella storia della canzone napoletana classica.

L’origine delle villanelle è legata alle antiche poesie popolari napoletane. Di esse, infatti, mantengono almeno inizialmente la metrica in strofe formate da un verso libero preceduto o seguito da uno o due distici in rima baciata. Si trattava per lo più di endecasillabi, anche se è documentato l’uso di lunghezze diverse.

Successivamente apparvero delle varianti che aumentavano il numero dei distici o dei versi liberi. Si aggiunse anche un ritornello e furono adottate strofe diverse.

La musica che accompagnava questi canti era assai semplice ed originariamente eseguita a cappella. Di solito era costituita da tre voci, con la prima che contiene la melodia e le altre due ad accompagnarla e sostenerla. Questa struttura consentiva di eseguire le due linee di accompagnamento su uno strumento a corde, in modo che il cantante potesse accompagnarsi da solo.

“Sto core mio se fosse di diamante
Sarrìa spezzato per tanto dolore
Quanto ne provo e sento a tutte l’ore.”
(Orlando Di Lasso, ‘Sto core mio’)

Le villanelle erano scritte soprattutto in napoletano. L’argomento era spessissimo l’amore, raccontanto in modo rustico, talvolta esplicito, facendo abbondante uso del comico, della satira e del doppio senso. L’aspetto parodistico è un carattere tipico della villanella, in evidente contrasto con la raffinatezza di altre forme di composizione polifonica. Ciò non impedì, comunque, che fossero composte villanelle d’argomento amoroso più delicate e intime.

Nella stessa epoca altre forme musicali come la frottola, lo strambotto, il canto carnacialesco toscano o la villotta veneta presentavano una struttura analoga ed ebbero un discreto successo, che però non uscì dall’area geografica d’origine. Diversamente, la villanella napoletana divenne popolarissima in tutta Italia e si diffuse anche in Europa.

ritratto di Adrian Willaert (Foto: Wikipedia)

“Vecchie letrose,
non valete niente
Se non a far l’aguaito per la chiazza.
Tira, tira, tir’alla mazza,
Vecchie letrose, scannaros’e pazze!”
(Adrian Willaert, ‘Vecchie letrose’)

Il motivo di tale successo è stato attribuito alla lingua napoletana, che si prestava con uguale malleabilità al tema d’amore, alle invettive più feroci ed alla satira, ma anche al ritmo particolarmente vivace, specie quando venivano alternate battute binarie e ternarie. Di certo contribuirono non poco alcuni autori fiamminghi di villanelle, primo fra tutti Roland de Lattre (conosciuto come Orlando Di Lasso, 1532-1594), che viaggiavano per le corti europee.
Uno di essi, Adrian Willaert (1490-1562) fu colui che portò  la villanella a Venezia, dove fu maestro di cappella alla basilica di San Marco. In questa città furono stampate le prime raccolte di testi delle villanelle napoletane e da qui si diffusero in tutta Europa.

“Tutto lo dì mi dici: «Canta, canta!»
Non vedi ca non posso refiatare!
A che tanto cantare?
Vorria che mi dicessi «Sona, sona!»
Non le campan’a nona
Ma lo cimbalo tuo
Se canto ri-ro ro-ri-ro-gne
S’io t’haggio sott’ a st’ogne.”
(Orlando Di Lasso, ‘Tutto lo dì’)

Foto: vesuviolive.it

Questi compositori erano tra i massimi esponenti della musica polifonica rinascimentale, maestri nell’arte del contrappunto, ma non disdegnavano di avere in repertorio composizioni assai più semplici e di carattere popolare come le villanelle in napoletano, composte su testi anonimi ma di probabile origine partenopea. Alcune di esse, sorprendentemente, sono ancora note ed eseguite.

L’enorme successo della villanella fu anche la causa della sua fine, alla fine del XVI secolo. Diffondendosi infatti in ambienti culturali diversi da quello dove ebbe origine, acquistò caratteri via via più raffinati. Le semplici strutture musicali andarono assumendo una maggiore complessità e poi il testo, lontano da Napoli, perse la lingua napoletana per diventare un italiano più o meno letterario. Continuavano a chiamarsi villanelle, ma si erano trasformate in qualcosa di profondamente diverso, come il madrigale.
A Napoli, tuttavia, le villanelle continuarono ad essere composte ancora a lungo e l’ultima edizione a stampa è documentata nel 1618.