Archivio 28 Ottobre 2016

Un manuale per attori, scrittori e cantanti

manualedizionenapoletano La difficoltà più evidente quando si legge e si scrive in dialetto è legata all’ortografia. La mancanza di una autorità riconosciuta – come l’Accademia della Crusca per l’italiano – ha fatto sì che ogni autore abbia adattato a suo modo le norme ortografiche della lingua italiana alla propria personale dizione del dialetto. E ciò vale anche per il napoletano.

Quanti, per esempio, conoscono l’uso corretto di apostrofo e aferesi – elementi caratterizzanti del napoletano – nella scrittura del nostro dialetto? Prendiamo, come esempio banale, gli articoli determinativi. In napoletano si formano facendo cadere la consonante iniziale di “lo” e “la” e vanno quindi scritti con l’aferesi: ‘o, ‘a. Eppure capita di trovare grafie (sbagliate) in cui viene usato un apostrofo (o’, a’) a segnalare una elisione che invece è inesistente.

Come tutte le lingue, anche il napoletano non basta parlarlo da una vita per essere certi di farlo correttamente. Abbiamo tutti imparato espressioni, parole, e modi di dire dalla voce di mamme, padri e nonni. Li abbiamo imparati oralmente, ripetuti come li abbiamo sentiti, con le stesse imprecisioni fonetiche. Ce ne accorgiamo quando confrontiamo le diverse dizioni di amici e conoscenti. Ma, allora, qual è la versione corretta? Come si pronuncia quella parola? E come si scrive quella frase? Esiste realmente una “versione corretta” del napoletano?

Si tratta di domande importanti per chi, come noi, si occupa di teatro in napoletano ed ha perciò assoluto bisogno di una guida di riferimento. A maggior ragione, dal momento che la nostra attività artistica si svolge a Verona, lontano quindi dall’ambiente linguistico napoletano. Chi scrive, canta, recita in napoletano si trova talvolta di fronte a dubbi sulla scrittura e sulla pronuncia.

Giovanni Vitale ha voluto affrontare questa questione ed ha realizzato un “manuale di scrittura e di dizione” del dialetto napoletano. Vitale è stato docente di Arte Scenica presso i Conservatori Statali di Salerno e Benevento ed ha svolto attività di ricerca nella dizione della lingua italiana e del dialetto napoletano.

Il manuale è indirizzato agli studenti universitari e di Conservatorio, agli artisti ed a tutti gli appassionati che amano leggere e scrivere in napoletano. È diviso in tre parti più, in appendice, un prontuario sulle regole di scrittura.
L’autore ha cercato di individuare sistematicamente le situazioni ambigue o quelle in cui autori diversi hanno adottato diverse soluzioni ortografiche. Ciascun caso, nel manuale, viene analizzato riportando i differenti pareri e proponendo una soluzione. L’imponente apparato critico e le numerosissime citazioni e riferimenti agli autori napoletani, come anche la corretta indicazione dell’accento fonico e la distinzione fonetica di suoni consonantici sordi e sonori, sono elementi che rendono quest’opera uno dei manuali di riferimento più autorevoli per l’uso del napoletano.
Le riflessioni e le analisi contenute nel libro possono tuttavia essere estese e risultare utili anche in riferimento alle altre varianti dialettali campane.

 

Titolo:   Dialetto napoletano. Manuale di scrittura e di dizione
Autore:   Giovanni Vitale
Edito da:   Edizioni Scientifiche Italiane, giugno 2009
Pagine:   869
ISBN:   978-8849515244

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Il Napoletano, l’UNESCO e noi

Foto: Elisaboba

Foto: Elisaboba

Su molti siti web si leggono frasi che ci fa piacere leggere:
“Il mancato insegnamento della lingua napoletana e il suo andarsi man mano perdendo e degradando di valore, ha indotto l’UNESCO a riconoscerla come un patrimonio da tutelare non solo per l’Italia ma per il mondo intero.”
“Il napoletano è secondo, nella nostra penisola, soltanto alla lingua ufficiale, l’italiano, per diffusione sull’intero territorio nazionale.”

Pensi che se lo dice l’UNESCO dev’essere vero. Poi continui a leggere:
“Dialetto diffuso in tutto il sud Italia, ma parlato anche in Abruzzo, Molise, Lazio”

E qui ti viene qualche dubbio: da quando in Abruzzo, Molise e Lazio si parla napoletano? Così provi a verificare la notizia e scopri che molti siti di informazione la riportano tale e quale. Cioè, non simile, ma proprio uguale, con le stesse frasi: hanno copiato tutti dalla stessa fonte. Di solito, è un forte indizio che si tratti di una notizia falsa. Ma allora che dice l’UNESCO, veramente, sul napoletano?

Nell’elenco dei “Patrimoni Orali e Immateriali dell’Umanità” il napoletano non c’è. Nell’atlante delle lingue in pericolo, c’è invece il “South Italian“, Italiano del Sud, che comprende dialetti marchigiani, abruzzesi, molisani, campani, lucani, pugliesi e calabresi. E questo South Italian viene considerato sinonimo di “Neapolitan“.
Certo, se li consideri tutti insieme, i dialetti del Sud coprono una popolazione così ampia che per forza diventa la seconda lingua dopo l’italiano. Solo che l’Italiano del Sud non esiste. O si?

nap_ethnoIl raggruppamento dei dialetti alto-meridionali è definito secondo la classificazione internazionale delle lingue ISO 639-3 sotto il codice “nap“, che sta per “napoletano” o “napoletano-calabrese“. Questo gruppo linguistico è parlato infatti nell’area geografica che corrisponde all’ex Regno di Napoli, con l’esclusione della Sicilia, del Salento e di parte della Calabria (aree dei dialetti del gruppo meridionale-estremo).
In questa accezione, “napoletano” non indica il dialetto di Napoli ma l’intero gruppo linguistico, che è normalmente indicato anche come “italico-meridionale“: South Italian, appunto.

Dunque, quanto riportato nei documenti dell’UNESCO è corretto. Completamente fuori strada è invece l’interpretazione di qualche giornalista che, poco competente su questioni glottologiche, ha scritto un articolo prendendo fischi per fiaschi. Tutti gli altri hanno poi semplicemente copiato e rilanciato la notizia falsa senza neanche controllare. Ed ecco che sulle vostre bacheche Facebook circolerà per anni una nuova leggenda metropolitana.

Riassumendo, il dialetto napoletano non è riconosciuto patrimonio dell’UNESCO, ma solo uno dei tanti dialetti italiani “in pericolo”. E non è nemmeno la seconda lingua parlata in Italia. In effetti, tecnicamente, non è una lingua. La distinzione non è qualitativa, sia chiaro, ma è legata all’uso. Il napoletano non è usato in uffici pubblici, scuole o amministrazioni ed è parlato in un’area geografica limitata. Per questo è – tecnicamente – un dialetto.

Però il napoletano ha una storia antica e nobile e continua ad averla anche oggi, soprattutto nel teatro, nella letteratura, nel cinema, nella musica. Diffondere false notizie come questa sull’UNESCO – anche se stuzzicanti per il partenopeo orgoglioso che c’è in noi – non aggiunge nulla al prestigio della nostra lingua (ops!).
Il napoletano non ha bisogno di etichette e vane vanità, ma di tutela. C’è bisogno di perpetuarne la tradizione linguistica e promuoverne la conoscenza e la diffusione, insieme a tutto l’immenso patrimonio culturale che vi è legato.
Come? Per esempio, con l’attività teatrale. Ecco, questa, nel nostro piccolo, è la “missione” trentennale della Filodrammatica Partenopea a Verona.

Fonti principali:

 

Maschere, comici e grammelot

Oggi avevamo programmato la pubblicazione dei nostro primo post sul teatro. Poi, come talvolta accade, arriva improvvisamente una notizia che t’induce a cambiare i piani.
In mattinata abbiamo saputo che Dario Fo è morto. Chi ama il teatro – e non solo – non può fare a meno di sentirsi toccato dalla scomparsa di uno dei maggiori artisti della storia di quest’arte. Gli rendiamo omaggio, nel nostro piccolo, con questo breve articolo sulla Commedia dell’Arte, primo della serie.

La maschera è uno degli elementi portanti della Commedia dell’Arte. Non, come a volte si crede, per una mera questione estetica. La maschera è innanzitutto in grado di amplificare e modificare le caratteristiche della voce. Ogni maschera, in sostanza, funziona come uno strumento musicale. L’interno della maschera è percorso da spazi pieni e vuoti in cui il suono viene modulato esattamente come in una cassa di risonanza. Alcune maschere producono suoni acuti, altre toni bassi e gravi. La tecnica dell’attore permette di gestire una vasta gamma di tonalità. Ogni personaggio ha, quindi, per così dire, la propria voce.
Oltre alla forma estetica e al suono che viene prodotto, ad ogni maschera va collegato un particolare modo di gesticolare e di camminare. Gli attori della Commedia dell’Arte possedevano un perfetto controllo della gestualità del corpo. Anche questa attitudine deriva dall’uso della maschera. L’espressione del volto, infatti, è completamente bloccata dalla presenza della maschera che lascia visibili solo bocca e occhi. Per esprimere tristezza, allegria, pianto, pudore, rabbia e così via, quindi, il comico dell’arte era costretto ad usare il resto del corpo.

https://www.youtube.com/watch?v=hb9nfqyHvjc

 

Gli attori non conoscevano le lingue, ma riuscivano ad ottenere ugualmente un grande successo di pubblico ovunque si esibissero in Europa. Avevano risolto il problema della parola parlata inventando il grammelot: un insieme di suoni onomatopeici che producono la sensazione di ascoltare una lingua compiuta. Si tratta di uno sproloquiare insensato che però risulta curiosamente comunicativo. La parola grammelot deriva, pare, dall’espressione veneto-lombarda “gramlotto”, che indica un miscuglio di suoni senza senso, ma articolato in ritmi e cadenze che ricordano, appunto, una lingua.

Il teatro della commedia era fatto da compagnie di uomini e donne colti e preparati tecnicamente. Se pensiamo che il loro lavoro ha inciso nella cultura dello spettacolo europeo degli ultimi tre secoli, ciò non può essere accaduto per caso. Tutti erano in grado di scrivere testi teatrali, poetici e talvolta saggi critici e filosofici. Il primo Arlecchino, Martinelli, aveva una laurea da notaio. La giovanissima Isabella Andreini, della Compagnia dei Gelosi, scriveva i propri monologhi, componeva sonetti che musicava e cantava e fu un’attrice nota in molte corti europee. Di Silvio Fiorillo, cui è attribuita la creazione della maschera di Pulcinella, ricordiamo che fu un prolifico autore teatrale ed un attore conteso da più compagnie di importanza internazionale. Al Fiorillo dedicheremo maggiore attenzione nei prossimi articoli.

 

Fonte principale: “La lezione. Storie del teatro in Italia”, Dario Fo, Giorgio Albertazzi