Il senso di Cupiello per il presepe

wp-1478875139571.jpegCosa può dire al pubblico di oggi una commedia di oltre ottanta anni fa? O, meglio, come fa una commedia a restare popolarissima tanto a lungo? Sicuramente l’elemento comico ha avuto un peso non indifferente. Ma c’è molto di più, a partire dalla stessa composizione del testo definitivo, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo.

Qui ci limiteremo a riportare alcuni giudizi critici per mostrare come, pur nelle diverse interpretazioni, “Natale in casa Cupiello” non abbia mai smesso di stimolare e divertire critica e pubblico.

La citazione che segue risale alla versione in due atti del testo (del 1932: il terzo atto fu aggiunto solo due anni dopo). È tratta da un articolo pubblicato il 10 aprile 1932 sul Corriere della Sera e firmato dal grande drammaturgo e critico teatrale, veronese d’origine, Renato Simoni. Simoni fu uno dei primi, probabilmente, a cogliere, dietro l’umorismo farsesco del testo, un livello più profondo di rappresentazione della realtà.

“Per due atti questa famiglia Cupiello ci esilara con i suoi contrasti, in mezzo ai quali Luca si muove, creando, con ogni sua azione e ogni sua parola, una comicità che s’aggira su due o tre motivi principali che sa abbandonare e riprendere al momento opportuno, traendo da ogni ritorno ad essi, e dalla stessa insistenza di questi ritorni, un’allegria martellante e martellata che oscilla tra la farsa e il grottesco, ma nella quale c’è un fondo di ottima osservazione umoristica. [..]
L’autore è passato audacemente, anzi, temerariamente, dalla farsa a espressioni e rappresentazioni d’un realismo a tratti penoso. […]
La commedia ebbe la fervida e animata e colorita interpretazione che è caratteristica della Compagnia dei De Filippo. Eduardo impersonò Luca con quel suo modo largo di accerchiare il proprio personaggio e di definirlo, come conquistandolo dal di fuori, con l’accumulazione dei particolari entro i quali esso si trova, poi, racchiuso e formato”. (Renato Simoni, Corriere della Sera, Milano, 10 aprile 1932)

Nel 1934 Eduardo aggiunge il terzo e conclusivo atto al “Natale…”. Ormai la trasformazione dalla farsa a qualcosa di completamente diverso è compiuta. Tale evoluzione è ben descritta da Ermanno Contini, che ne parla sul Messaggero, il 12 giugno 1937, sottolineandone gli aspetti che continuano a catturare il pubblico del XXI° secolo.

“In cinque anni la fantasia di Eduardo ha lavorato senza soluzioni di continuità portando a compimento una vicenda e dei caratteri con la stessa coerenza e unità che avrebbe potuto dare loro per mezzo di una elaborazione rapida e continuativa. Segno di grande vitalità artistica che riafferma brillantemente le doti eccezionali di questo nostro attore autore. […] Da un atto farsesco è venuta fuori una commedia ricchissima sì di comicità, ma anche di umanità, patetica, amara, commossa. Il lavoro insomma ha guadagnato nell’accrescersi. Ha preso sostanza ed è diventato di qualità” (Ermanno Contini, Il Messaggero, Roma, 12 giugno 1937).

nataleincasacupiello_fipa-081215-518Il risultato, dunque, è un’opera che pur mantenendo l’apparenza e la comicità di una commedia, sotto la superficie affronta una grande varietà di temi. Tale complessità si è riscontrata anche nell’ampiezza delle interpretazioni e nelle discussioni critiche nel corso dei decenni. In questo senso, ecco le parole di Giulio Trevisani, scrittore, critico e autore, nel 1957, di una importante opera sulla storia del teatro napoletano, che ammette di aver dovuto modificare nel tempo le sue idee in proposito. La citazione che segue è tratta da un articolo apparso su L’Unità del 25 aprile 1958.

“Natale in casa Cupiello è stata giudicata, a suo tempo, dalla critica come una commedia che risente dell’influenza crepuscolare dominante in molti testi (Bovio, Murolo) del teatro napoletano postdigiacomiano. Anche chi scrive queste note espresse questa opinione che un successivo ripensamento ha modificato. Il riferimento al crepuscolarismo sottolinea soltanto uno degli aspetti della commedia, ne mette in evidenza soltanto il clima ed il dramma realistico che scaturisce dal contrasto fra questo carattere e la vita. […] Ma soprattutto occorre, per Natale in casa Cupiello, porre in rilievo un elemento di grande importanza, cioè la potente carica di grottesco. […] Si preannunzia, in questa commedia, quell’umorismo tragico che, dopo la maturazione dolorosa e pensosa degli anni di guerra, costituirà l’elemento fondamentale della poetica di Eduardo.” (Giulio Trevisani, L’Unità, Milano, 25 aprile 1958).

Perché, allora, il pubblico di oggi continua a ritrovarsi nei personaggi di una commedia scritta e ambientata quasi un secolo fa? Forse perché questo testo, pur descrivendo la vicenda di una famiglia degli anni ’30, lo fa rendendola universale e, quindi, fuori dal tempo. Renzo Tian nel Messaggero del 7 maggio del ’76 scrive:

“Rivedendola oggi si rimane colpiti per almeno un paio di ragioni, la commedia di Eduardo ci tocca in modo quasi magico […] perché è una non-storia, che esce dai confini del verosimile e della descrizione per arrivare nel territorio della visione e del simbolo”

Per finire, quella che segue è la spiegazione di Antonio Latella, regista tra i più noti in Europa, che ha allestito una importante rilettura di “Natale in casa Cupiello” alla fine del 2014, in occasione del trentennale della morte di Eduardo. La citazione è tratta dalle note di regia di quell’allestimento.

“La stella cometa illumina un presepe dietro il quale abbiamo messo tutto quello che non vogliamo vedere o che non vogliamo accettare, mentre arrivano le feste. La famiglia e le sue relazioni interne. La casa e gli equilibri che governa. Il carrozzone da trainare per un’altra madre coraggio. Quello che i genitori vogliono e quello che i figli fanno, le aspirazioni degli uni e la libertà degli altri, come si dovrebbe essere e come si vuole apparire;  vuoti  di  senso  sempre  più  difficili  da  colmare  che  diventano  risacche  di risentimento, di odio, di un perbenismo formale diventato un abito troppo stretto per le emozioni e i sentimenti. E poi i parenti, i vicini, gli altri. Generazioni si avvicendano e sono portatrici di valori diversi, distanti, inconciliabili, dagli esiti imprevedibili. Sguardi pronti a diventare giudizi e a indurci in comportamenti che qualcuno ha assunto come adeguati. Tutti sono immersi in un rituale funebre di interessi e di apparenze.
Tutti sono schiavi di un dedalo di aspettative scontate, immobili come i personaggi del presepe ma non ci sono nascite in vista.”

Cupiello… alla radio!

Foto: Enciclopedia della donne

Isabella Quarantotti con Eduardo (foto: Enciclopedia della donne)

Nel 1959 Eduardo realizzò e diresse le versioni radiofoniche di alcune sue opere. Tra queste, Natale in casa Cupiello, in un’allestimento molto particolare.
Vi troviamo infatti Pietro De Vico nella parte di Tommasino e nei panni di Concetta, Pupella Maggio. La stessa parte, nella versione televisiva del 1962 verrà invece affidata all’attrice Nina De Padova, con Tommasino affidato ancora a De Vico. Ritroveremo Pupella Maggio in un secondo allestimento televisivo, quello del 1977, con Luca De Filippo che interpreta Tommasino.

Altra curiosità? La voce guida che descrive gli ambienti e le scene in questa edizione radiofonica è la scrittrice Isabella Quarantotti, che all’epoca collaborava con la RAI ed era sposata in seconde nozze con Alec Smith, un poeta inglese.

Non sappiamo se questa fu l’occasione in cui conobbe Eduardo, ma sappiamo che nel 1965 diventerà sua compagna. I due si sposarono nel 1977 nel teatro San Ferdinando, di proprietà del drammaturgo napoletano.

Qui sotto, i link per ascoltare la trasmissione RAI originale.

 

Maschere, comici e grammelot

Oggi avevamo programmato la pubblicazione dei nostro primo post sul teatro. Poi, come talvolta accade, arriva improvvisamente una notizia che t’induce a cambiare i piani.
In mattinata abbiamo saputo che Dario Fo è morto. Chi ama il teatro – e non solo – non può fare a meno di sentirsi toccato dalla scomparsa di uno dei maggiori artisti della storia di quest’arte. Gli rendiamo omaggio, nel nostro piccolo, con questo breve articolo sulla Commedia dell’Arte, primo della serie.

La maschera è uno degli elementi portanti della Commedia dell’Arte. Non, come a volte si crede, per una mera questione estetica. La maschera è innanzitutto in grado di amplificare e modificare le caratteristiche della voce. Ogni maschera, in sostanza, funziona come uno strumento musicale. L’interno della maschera è percorso da spazi pieni e vuoti in cui il suono viene modulato esattamente come in una cassa di risonanza. Alcune maschere producono suoni acuti, altre toni bassi e gravi. La tecnica dell’attore permette di gestire una vasta gamma di tonalità. Ogni personaggio ha, quindi, per così dire, la propria voce.
Oltre alla forma estetica e al suono che viene prodotto, ad ogni maschera va collegato un particolare modo di gesticolare e di camminare. Gli attori della Commedia dell’Arte possedevano un perfetto controllo della gestualità del corpo. Anche questa attitudine deriva dall’uso della maschera. L’espressione del volto, infatti, è completamente bloccata dalla presenza della maschera che lascia visibili solo bocca e occhi. Per esprimere tristezza, allegria, pianto, pudore, rabbia e così via, quindi, il comico dell’arte era costretto ad usare il resto del corpo.

https://www.youtube.com/watch?v=hb9nfqyHvjc

 

Gli attori non conoscevano le lingue, ma riuscivano ad ottenere ugualmente un grande successo di pubblico ovunque si esibissero in Europa. Avevano risolto il problema della parola parlata inventando il grammelot: un insieme di suoni onomatopeici che producono la sensazione di ascoltare una lingua compiuta. Si tratta di uno sproloquiare insensato che però risulta curiosamente comunicativo. La parola grammelot deriva, pare, dall’espressione veneto-lombarda “gramlotto”, che indica un miscuglio di suoni senza senso, ma articolato in ritmi e cadenze che ricordano, appunto, una lingua.

Il teatro della commedia era fatto da compagnie di uomini e donne colti e preparati tecnicamente. Se pensiamo che il loro lavoro ha inciso nella cultura dello spettacolo europeo degli ultimi tre secoli, ciò non può essere accaduto per caso. Tutti erano in grado di scrivere testi teatrali, poetici e talvolta saggi critici e filosofici. Il primo Arlecchino, Martinelli, aveva una laurea da notaio. La giovanissima Isabella Andreini, della Compagnia dei Gelosi, scriveva i propri monologhi, componeva sonetti che musicava e cantava e fu un’attrice nota in molte corti europee. Di Silvio Fiorillo, cui è attribuita la creazione della maschera di Pulcinella, ricordiamo che fu un prolifico autore teatrale ed un attore conteso da più compagnie di importanza internazionale. Al Fiorillo dedicheremo maggiore attenzione nei prossimi articoli.

 

Fonte principale: “La lezione. Storie del teatro in Italia”, Dario Fo, Giorgio Albertazzi